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Stagnino.
Un mestiere ormai del tutto scomparso è lo stagnino (in sardo "su stangiaiu"), oggi trasformato a seguito del progresso tecnologico in idraulico. Ce n'erano diversi negli antichi paesi, ma loro, pur avendo una bottega, giravano anche nelle campagne, da un podere all'altro, perché la gente, a quel tempo, prima di acquistare brocche o tegami o imbuti nuovi, li faceva rattoppare, fino a quando non fossero diventati veri e propri colabrodi. Così lo stagnino, carico di arnesi come un somaro, passando da un podere all'altro, rattoppava i secchi, i paioli, gli scaldini o i canali dei tetti e in tal modo guadagnava qualcosa per sfamare sè e la famiglia. Attualmente il suo lavoro, per quanto pesante, è meno duro e, senza dubbio, più remunerativo. Quando l'acqua non c'era, nelle case il suo lavoro consisteva principalmente nella realizzazione delle grondaie e dei pluviali che convogliavano l'acqua piovana verso le cisterne, la riparazione delle pentole, dei tegami, dei secchi, veniva utilizzato lo stagno consumato al minimo perché costava caro e all'epoca lo spreco era inconcepibile. L'officina dello stagnino era piccola e piena di fuliggine. In essa vi era un tavolo grande, tutto sgangherato, dove venivano collocati i vari attrezzi necessari: enormi forbici per tagliare lamiere, verghe di stagno, tenaglie, il saldatoio, vicino al tavolo c'era la forgia, piccolo fornello nel quale si scaldava il saldatoio. Non mancava una grossa incudine con vari martelli di legno e di ferro per piegare la lamiera utilizzata per la realizzazione dei vari oggetti. La bravura di questi maestri era riconosciuta da tutti. Dalle loro botteghe uscivano i secchielli, gli innaffiatoi, i tegami di varia forma e grandezza, oltre ad ideare nuovi tipi di contenitori. Il lavoro veniva così svolto: su un foglio di lamiera applicava le forme per ottenere la sagoma desiderata e poi con una cesoia la ritagliava, la piegava, la modellava, e la saldava. Prima ancora di attaccare il manico, martellava tutto per eliminare quelle forme lisce o lucenti e conferirle così maggior resistenza. Piantato a terra un paletto di ferro capovolgeva la sagoma e con colpi precisi e ritmati di martello, gli procurava delle ammaccature, poste in modo circolare, tutte uguali e precise, pensando anche che di lì a poco su quella superficie arabescata si sarebbe depositato uno spesso strato di fuliggine. Oltre a questo realizzava le "brocche", le "teglie" adatte per gli arrosti, per i dolci, e infine le "bracere". Dalle mani magiche di questi maestri e da quelle forme apparentemente insignificanti nascevano contenitori splendidi, recipienti lucenti e di varia forma e grandezza. Oggi questi oggetti, avendo perduto la loro naturale funzione, sono tenuti come arredo, come ornamento, senza pensare alla grandissima utilità che all'epoca hanno avuto.

Stagnino al lavoro
Stagnino ambulante nel 1941.

 

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